Dopo la recensione di Open Water 3 in tanti mi avete segnalato un’altra imperdibile perla del regno dei film acquatici con gli squali nelle vesti di cattivoni assoluti: 47 metri. Devo ammettere che il trailer mi incuriosì e l’idea di andarlo ad ammirare al cinema mi stuzzicò alquanto, non ricordo quali furono le fatalità che me lo impedirono, so solo che oggi le benedico.
Dico da subito che ci saranno degli spoiler, perché questo è uno di quei classici film che non merita riguardi ed è l’ennesimo per cui si finisce per fare il tifo per gli squali. Film dalla trama semplice, che comunque mette insieme alcuni elementi carini, ma, se non ci fossero ombre surreali e idiozie nei dialoghi, ora non staremmo qui.
Protagoniste di questa pellicola sono due sorelle, una bionda e una mora che chiameremo goliardicamente: le veline. Queste si trovano in vacanza presso una località balneare in Messico e una sera, durante un momento molto profondo, la mora rivela alla bionda che il suo ragazzo l’ha lasciata. Ragazzo che non vedremo mai, né ci avrebbe interessato. Classica informazione inutile. Interessante lo scambio di sms tra la mora e l’ex:
“Mi sto divertendo molto in Messico, vorrei che tu fossi qui.”
“Ho portato via da casa le mie cose.”
Ma con chi era fidanzata questa? Con Mengele?
Le veline vanno a ballare, fanno serata, conoscono due tipi bellocci (figuriamoci, mai una volta che becchino due ruderi) e lì la svolta degli alpha man: “ma perché non venite con noi a fare immersione in gabbia a osservare gli squali?”
La mora, incredibilmente, pone una domanda intelligente:
“ma io non ho mai fatto immersione, non serve un brevetto, un corso o qualcosa del genere?”
La risposta: “ma qui siamo in Messico!”
Cioè? In Messico non si rispettano le regole? O è una battuta tipo quella del semaforo rosso a Napoli che non rispetterebbe nessuno?
Tra queste due nuove coppie, dopo una cena, scoppia un impeto di limone incrociato, della serie “sono ancora molto depressa per il mio ex”.
Arriva il giorno dell’immersione e le due si presentano con i due nuovi amici al molo e lì salgono sulla barca con la gabbia. Un relitto galleggiante con appesa una gabbia che è un ammasso di ruggine, roba che non ci sarebbero saliti manco i disperati dalla Libia lì sopra. Arrivano in mare aperto e l’equipaggio, composto da microcefali, inizia a gettare la pastura di sangue in mare per attirare i pescioloni. Tempo due secondi e si palesano questi mostri di 8 metri, che manco nel film di Spielberg. La mora inizia ad avere un ripensamento sull’impresa, ma la bionda le fa:
“Non farai ingelosire il tuo ex se non ti butti.”
Ma per far ingelosire il tipo, non gli si potrebbe mandare una foto di lei che limona il tizio della sera precedente con la didascalia “sono venuta sei volte”? No? Quello si ingelosisce se la ex si fa la foto nella gabbia a osservare gli squali con la sorella? Capisco, da uomo, che con un pesce di 8 metri non si può competere, ma qui mi sembra un’esagerazione.
I primi a buttarsi sono i maschietti, la gabbia si immerge e dopo un po’ tornano su tutti euforici. Intanto il capitano spiega il funzionamento delle bombole alle veline, dicendo loro che avranno ossigeno per un’ora, ma non si capisce perché lo precisi, visto che -in teoria- lì sotto ci sarebbero dovute stare 10 minuti. Intanto un altro membro dell’equipaggio, per fare coraggio alla mora spaventata, dice:
“lì sotto è il loro mondo (degli squali), sentono il tuo cuore a km di distanza. Capiscono se hai paura o se sei debole”.
Ma dove lo hanno pescato a questo imbecille? Questa, in teoria, ti paga per fare ‘sta roba, è una cliente.
La bionda, prima di calarsi, chiede in prestito ai ragazzi la macchina fotografica. Tempo 10 secondi in acqua e le cade di mano, fosse stata la mia gli squali sarebbero diventati l’ultima delle sue preoccupazioni. I mostri marini (realizzati con una computer grafica oscena) si manifestano e la bionda dice alla sorella (comunicando via radio): “toccane uno”. Ma sì, facciamo staccare un braccio a nostra sorella. Che volete che sia? La mora però le replica “sei pazza!”, ah, peccato. Ci stavo sperando. Dopo la deficiente di Open Water 3, che dà fuoco alla zattera di salvataggio sparando un razzo all’interno, non mi sorprendo davvero più di nulla in questi film dementi.
Arriva il momento clou del film. Il gancio che regge la gabbia si stacca dalla barca e la cella affonda inesorabile, toccando il fondale marino a 47 metri di profondità, facendo svenire le due veline a causa dell’impatto. Da questo momento in poi il film è ambientato tutto lì sotto, con le due sventurate intrappolate, ma non nella gabbia, ma dalle circostanze. Infatti, a causa della profondità, non possono nuotare rapidamente fino alla superficie o morirebbero di embolia, né lo possono fare lentamente, altrimenti gli squali avrebbero da ridire.
Il capitano della nave, attraverso la radio nelle maschere, comunica loro che avrebbe mandato un temerario giù con un cavo da attaccare alla gabbia. Cosa furbissima. Non chiamiamo subito la guardia costiera, mandiamo giù un ebete con un cavo, tanto di squali di 8 metri ne abbiamo visti solo tre. Per sfidare la sorte io gli avrei fatto pure qualche taglietto qui e lì, giusto per rendere il tutto più elettrizzante.
Nell’attesa di superman, qual è l’argomento proposto dalla mora, sul fondo dell’oceano, alla sorella? La sua storia d’amore appena conclusa. Tipo che io le avrei strappato la maschera e gridato alla fatalità. Improvvisamente percepiscono un rumore e pensando, erroneamente, che fosse il motore della loro barca che stava andando via (e poteva anche starci), la bionda esce per provare a ristabilire un contatto radio con il capitano, ma viene intercettata da uno squalo che la fa tornare in cella a tutta velocità. Il grosso pesce, incazzato, inizia quindi a sfondare la gabbia, che si piega e si crepa manco fosse la casetta di marzapane di Hansel e Gretel. Fuori dall’acqua quella scatola faceva schifo, in acqua fa proprio pietà.
Passa il tempo e in lontananza si accorgono di una torcia elettrica che gira a vuoto nel buio, capiscono quindi che qualcuno deve essersi calato, ma non riesce a localizzarle. La mora decide allora di uscire dalla gabbia e nuotare in direzione di quella torcia, la sorella bionda, con meno ossigeno in bombola, le dà un consiglio: “nuota attaccata al fondale, così gli squali non ti attaccheranno”. Ah sì? Me la segno, ma funziona anche con i leoni in gabbia? Cammina lungo la parete e ti fanno le fusa?
Elisabetta Canalis nuota quindi in direzione di questa torcia, fino ad arrivare a un crepaccio sottomarino tipo la Fossa delle Marianne, “non vedo più il fondo, cosa faccio?” chiede, sempre via radio, alla sorella. Ma nuota! Porcatroia, che cazzo vorresti fare? Scendere di altri 100 metri e seguire il perimetro?! Scendere lì sotto e poi cantare?!… Guardate un po’ quello che ho! È una raccolta preziosa lo so!
Raggiunta la torcia viene sorpresa dal baldo giovanotto che era sceso lì giù per salvarle, ma non riesce a parlarci molto, visto che assiste subito alla sua fine, divorato da un enorme pupazzo computerizzato. La velina prende quindi il cavo che aveva calato il defunto, lo porta a nuoto fino alla gabbia dalla sorella, lo attacca al gancio e si fanno issare. L’incubo pareva essere finito, ma, visto che il cavo era praticamente uno spago, che non avrebbe usato manco mia nonna quando con il paniere calava le chiavi di casa dal balcone, si spezza e le due precipitano vorticosamente di nuovo giù. Il capitano, a quel punto, getta la spugna e decide di rivolgersi alla guardia costiera, mentre, alle due rincoglionite sul fondale, cala due bombole di ossigeno, avvisandole che nel sostituirle, c’era la possibilità di uno sbalzo di ossigeno al cervello, che in alcuni casi provoca le allucinazioni. Già tutto ‘sto spiegone ci fa subito capire che, ovviamente, questa eventualità sarà una certezza.
La caduta della gabbia fa incastrare la coscia della mora, quindi le bombole le va a recuperare Maddalena Corvaglia, le porta in prossimità delle sbarre e gnam, lo squalo se la porta via. Il bello è che se la prende mentre questa sta sul fondale, quindi va a puttane tutta la sua brillante teoria del “se stai rasoterra non ti fanno niente”.
Elisabetta, elaborato rapidamente il lutto, cerca di raggiungere la bombola lasciata fuori, in prossimità della gabbia, con l’ausilio di un arpione che aveva, in precedenza, fregato al defunto. Il piano riesce, non prima però di essersi arpionata una mano. Cambia la bombola, l’ossigeno invade il suo corpo * e MacGyver si impossessa di lei, posiziona quindi il giubbotto gonfiabile sotto alla gabbia, lo attiva, la gabbia si solleva e lei riesce a estrarre la gamba che era ancora incastrata. Decide quindi di andare alla ricerca della sorella e la trova subito, ma pesantemente mutilata. A quel punto sentenzia che è meglio rischiare l’embolia, rispetto al restare ancora lì sotto, e via, verso la salita, a tutta velocità. Tutto il discorso del “lentamente” va a farsi fottere, visto che le due nuotano veloci tipo Ariel quando Ursula le dà le gambe, roba che manco alle olimpiadi. In tutto ciò gli squali le mordono continuamente, carne che viene via tipo SAW l’Enigmista, ma, miracolo, spuntano fuori dall’acqua. Gli uomini sulla barca tentano di farle salire a bordo, ma inizia, improvvisamente, una lotta tra le donne in acqua e gli squali che Xena la principessa guerriera si sarebbe rifiutata di fare. Le due salgono finalmente a bordo e la mora nota che il suo sangue, che usciva dalla mano arpionata in precedenza, vola nell’aria, era quindi tutta un’allucinazione. Azzerate tutte queste bubbole dal mio *asterisco* qui sopra.
Ely è quindi ancora nella gabbia in fondo al mare in preda ai deliri, ma, finalmente, arrivano quelli della squadra speciale che la salvano.
Che dire? Film che trasforma un’idea carina in un’idiozia, ma la cosa peggiore è che l’anno prossimo è previsto un sequel.
Il prossimo film che recensirò sarà ambientato anch’esso in Messico.